mayo 12, 2015

Maria Gioia Tavoni: «Che cos’è una marca tipografica»



INSPICE SIGNUM
La marca tipografica come metafora della produzione editoriale
«Un’introduzione alle marche tipografiche»
«Che cos’è una marca tipografica»

Università degli Studi di Bologna
Scuola Superiore di Studi Umanistici
Master in Editoria Cartacea e Multimediale




«La marca tipografica è uno degli elementi propri del libro a stampa d’antico regime tipografico. È un’illustrazione o un simbolo prodotti con la tecnica xilografica, realizzata imprimendo sulla pagina un blocco di legno inciso a mano oppure, con maggior frequenza solo dal XVIII secolo, un supporto di rame. Solitamente contiene una o più figure, le iniziali dell’editore-stampatore ed eventualmente un motto.

»La collocazione della marca tipografica cambia nel corso degli anni. La sua prima occorrenza risale al 1457, quando due scudi appesi a un ramo compaiono nel colophon dello Psalterium magontinum di Johann Fust e Peter Schöffer. L’associazione di marca e colophon non deve stupire: entrambi, infatti, sono strumenti nati per testimoniare l’autenticità delle copie stampate e, per quanto possibile, per contrastarne la contraffazione.

»In seguito, con il più lento sviluppo delle altre pagine d’apparato, la marca si sposta sul frontespizio e in qualche caso sull’occhiello, consentendo così l’immediata identificazione dell’editore. E a questo trasferimento corrisponderà l’evoluzione della vecchia figura dello stampatore-tipografo in quella dell’emergente editore d’antico regime, l’imprenditore e mercante della parola stampata che lentamente comincerà ad affacciarsi sulla scena commerciale europea sin dal Quattrocento.

»La marca tipografica si è trovata a identificare tipografi, editori e librai, testimoniando ogni volta l’originalità della copia che il lettore si trovava fra le mani, l’impegno dell’editore che si è fatto carico della sua produzione e i valori che hanno informato tale attività. Diversa, e tuttavia comparabile, è la funzione del marchio editoriale contemporaneo, che rimane nella sua forma originaria solo in alcuni editori un po’ per vezzo, un po’ a indicare la ricercatezza della propria produzione. È il caso, ad esempio, del dotto editore fiorentino Leo S. Olschki, che riprende la marca quattrocentesca di Lazzaro Soardi, e della casa editrice padovana Alet, che ha commissionato all’artista pop David Hockney un marchio ispirato alle grandi marche cinquecentesche.

»Si incomincia a intravedere, allora, quale sia la grande specificità della marca tipografica. Infatti, se l’odierno marchio editoriale è una risorsa fondamentale per l’immagine coordinata delle case editrici contemporanee, la marca d’antico regime tipografico è ancor più interessante perché ci presenta l’occasione di guardare alla storia della stampa attraverso lenti diverse, che interessano non solo la comunicazione scritta, ma anche i repertori iconografici del tempo. La marca, in qualche modo, ci parla; e non ci si riferisce, qui, alle sole marche comunemente definite “parlanti”, perché tutte le marche, considerate in gruppo o una alla volta, possono svelare piccole verità sull’evo moderno e sul suo modo di pensare per immagini.

»Ricerche di questo tipo non sono certo nuove – basti pensare agli studi di iconologia avviati da Erwin Panofsky o ai lavori di Aby Warburg e Frances Yates – ma uno studio sistematico applicato alle marche non è stato sinora tentato, impedito com’è dalle dimensioni spropositate del suo eventuale corpus. Un tentativo fatto in questa direzione, più modesto ma ugualmente interessante, è di Giuseppina Zappella (Zappella 1986), che in uno studio sulle marche del Cinquecento mostra come tutto, di esse, richiami non solo alle elaborate dottrine dell’umanesimo, delle nuove scienze e della teologia medioevale, ma attinga anche al sapere degli analfabeti, al fervore religioso e al culto popolare dei santi.

»La marca è insomma uno dei luoghi in cui cultura scritta e cultura orale si incontrano. Non è certo l’unico caso, giacché, sin dall’invenzione del codex, il libro – nella sua versione manoscritta e soprattutto in quella xilografica – si è servito spesso delle illustrazioni per consentire una fruizione parallela a un pubblico più ampio e popolare. La novità, semmai, è che con il libro tipografico tutto questo si associa a finalità più direttamente commerciali, sebbene l’ambizione di attirare lettori di diversa estrazione rimanga la medesima (Braida 2000: 52-53):

»“L’abilità dei primi tipografi fu quella di rivolgersi non solo, com’è ovvio, alle categorie tradizionali di lettori (chierici, insegnanti, medici e uomini di legge), ma di estendere la loro clientela all’interno delle categorie sociali che, a livelli diversi, avevano una certa dimestichezza con la cultura scritta (come la piccola nobiltà di campagna, il basso clero, gli artigiani, i mercanti e i negozianti), come rivela l’estrema diversificazione del libro di larga circolazione.”


»Sarebbe un grave errore, quindi, ritenere che la diffusione del libro tipografico sia un fenomeno che riguardi unicamente le élite. Al contrario, mai come con la parola stampata la cultura scritta sviluppa una sorta di vocazione all’essere “popolare”, anche se ciò avviene secondo modalità certo molto limitate rispetto a quelle che potremmo aspettarci noi contemporanei. Una vocazione, questa, che si esprime anche nell’uso della marca, e che attinge, nei suoi riferimenti iconografici, agli stili dell’organizzazione sociale, alla cultura letteraria e a una tradizione orale ampiamente diffusa.

»Non è un caso se fino al 1530 erano molte le marche che presentavano – come quella di Fust e Schöffer – stemmi di evidente ispirazione araldica. Sin dal Trecento, infatti, chiunque praticasse la professione mercantile usava distinguere la propria attività attraverso l’uso di uno stemma, che poteva essere quello di famiglia nel caso in cui il mercante fosse di estrazione nobiliare, oppure, più frequentemente, che era il segno distintivo della corporazione cui il titolare della bottega apparteneva. È quindi probabile che, per il loro duplice scudo, Fust e Schöffer si fossero ispirati al complesso sistema visivo di identificazione che li aveva preceduti, peraltro senza nutrire pretese eccessive di originalità.

»Ha dunque ragione Valentino Romani (Romani 2004), quando sostiene che le marche tipografiche ricalcano nelle forme e nei contenuti gli stemmi araldici. Quando infatti divide le marche in “marche di proprietà” (contrassegni personali e di famiglia), “marche di produzione” (che indicano il tipografo-stampatore in quanto produttore del libro) e in “marche istituzionali” (che indicano i libri stampati dalle autorità pubbliche), Romani propone una tripartizione che può essere applicata anche all’araldica. E ciò è possibile perché “tutte le forme di un’insegna, senza eccezione, possono trovare un particolare significato e una ragion d’essere nella marca tipografica di un libro” (Romani 2004: 84).



»Bibliografia

»Lodovica Braida, Stampa e cultura in Europa, Roma-Bari, Laterza, 2000.

»Alfredo Cattabiani, Florario, Milano, Mondadori, 1996.

»Warren Chappel - Robert Bringhurst, Breve storia della parola stampata, Milano, Sylvestre Bonnard, 1999.

»Robert Darnton, Il bacio di Lamourette, Milano, Adelphi, 1994.

»Gian Carlo Ferretti, Storia dell'editoria letteraria in Italia. 1945-2003, Torino, Einaudi, 2004.

»Il paratesto, a cura di Cristina Demaria e Riccardo Fedriga, Milano, Sylvestre Bonnard, 2001.

»Mario Praz, Introduzione, in Cesare Ripa, Iconologia, a cura di Piero Buscaroli, Vicenza, Neri Pozza, 2000.

»Valentino Romani, Bibliologia: avviamento allo studio del libro tipografico, seconda edizione riveduta, Milano, Sylvestre Bonnard, 2004.

»Hans Tuzzi, Collezionare libri antichi, rari, di pregio, Milano, Sylvestre Bonnard, 2000.

»Emerenziana Vaccaro, Le marche dei tipografi e degli editori italiani del secolo XVI nella Biblioteca Angelica di Roma, Firenze, Olschki, 1983.

»Giuseppina Zappella, Le marche dei tipografi e degli editori italiani del Cinquecento: repertorio di figure, simboli e soggetti e dei relativi motti, Milano, Editrice Bibliografica, 1986.


»Il repertorio di marche tipografiche allegato a questa ricerca è tratto in parte dai testi citati in bibliografia e in parte proviene da una serie di repertori elettronici, consultabili on line. Fra questi, il sito http://eclipsi.bib.ub.es/imp/impcat.htm a cura dell'Università di Barcellona, http://edit16.iccu.sbn.it/imain.htm a cura dell'Istituto Centrale per il Catalogo Unico (ICCU).»






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